Controversie condominiali

Controversie condominiali​

La riforma del condominio

La L. n. 220 del 2012 ha novellato il capo del codice civile dedicato al condominio negli edifici (artt. 1117 e ss. c.c.).

L’art. 1117 c.c. è stato ampiamente modificato per fornire un’elencazione puntuale delle parti comuni dell’edificio: tale indicazione, seppur non esaustiva, stabilisce una presunzione di condominialità per le parti concretamente a servizio dello stabile, superabile mediante prova contraria.

Inoltre, è stato introdotto, l’art. 1117 bis c.c., che amplia la nozione di condominio includendovi la nozione di supercondominio nel caso in cui più condomini abbiano parti comuni.

In tema di modificazione della destinazione d’uso delle parti condominiali, il Legislatore ha inserito nel codice il nuovo art. 1117 ter c.c., che subordina tale modifica al voto favorevole dei quattro quinti dei partecipanti (rappresentanti al tempo stesso i quattro quinti del valore dell’edificio); in ogni caso, sono vietate le modifiche che pregiudichino la stabilità o la sicurezza dell’edificio, nonché quelle che ne alterano il decoro architettonico.

Per quanto riguarda l’amministratore, sono state introdotte alcune previsioni volte a tutelare maggiormente i condomini contro eventuali condotte abusive: da un lato, la nomina dell’amministratore può essere subordinata alla stipula di una polizza assicurativa per la responsabilità civile; dall’altro, tutte le somme di denaro relative al condominio devono transitare su un conto corrente intestato specificamente al condominio.

Sempre in quest’ottica di tutela è stato introdotto anche il nuovo art. 1130-bis c.c., che prevede l’obbligo di redigere un rendiconto condominiale.

Inoltre, si è aggiunto un ultimo comma all’art. 1138 c.c., prevedendo che il regolamento condominiale non possa mai vietare di possedere o detenere animali domestici.

Condominio e personalità giuridica

Ferma restando la soggettività fiscale del condominio quale sostituto d’imposta (artt. 23 e 25 d.p.r. 600/1973) la giurisprudenza ha optato per la sua qualificazione quale ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti diretto a garantire il buon funzionamento delle cose comuni (Cass. Civ. sez. II, 26.09.2018, n. 22911; Cass. Civ., sez. II, 09.11.2017, n.26557; Cass. Civ., sez. II, 6.8.2015, n.16562).

Parti comuni

L’art. 1117 c.c. offre un’elencazione dei beni considerati comuni: da un lato, vi rientrano quei beni che presentano un collegamento “materiale” con le proprietà solitarie, nella misura in cui sono necessari per l’esistenza o per l’utilizzo delle parti individuali (art. 1117 n. 1 c.c.); dall’altro, vengono in considerazione quelle parti (siano esse aree ovvero opere) che risultano meramente funzionali allo sfruttamento e godimento dei beni oggetto di proprietà dei singoli condomini (art. 1117 n. 2 e 3 c.c.).

Uso delle parti comuni

Spetta a ciascun partecipante la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione a condizione che questo sia compatibile con i diritti degli altri condomini.

Deve, pertanto, ritenersi illegittima la condotta del condomino consistente nella stabile e integrale occupazione di una porzione dell’edificio condominiale mediante il collocamento in esso di attrezzature e impianti fissi, volta unicamente a consentire un miglior godimento della sua proprietà individuale (Cass. civ., VI, 23 giugno 2017, n. 15705).

Il problema della rinuncia delle parti comuni

Il diritto di proprietà dei singoli condomini sulle parti comuni è proporzionale al valore dell’immobile oggetto di dominio individuale (art. 1118 co. 1 c.c.) ed è espresso in millesimi.

A differenza di quanto accade in una normale comunione, il titolare del diritto di proprietà sul bene comune non può rinunciarvi, così come non può disporre del diritto stesso separatamente rispetto al diritto sul singolo immobile.

L’impossibilità di rinunciare al diritto di proprietà sulle parti condominiali comporta l’impossibilità per il proprietario di sottrarsi al pagamento delle spese per le parti comuni (art. 1118 co. 3 c.c.).

Rinuncia all’impianto di riscaldamento o condizionamento centralizzati

Il condomino che non ritenga di voler usufruire dell’impianto di riscaldamento o condizionamento centralizzati può farlo, purché il distacco non alteri il funzionamento dell’impianto e non comporti un aumento di spesa per gli altri condomini.

L’onere della prova circa la sussistenza di tali presupposti spetta al condomino che beneficia del distacco salvo il caso in cui l’autorizzazione sia stata deliberata dall’assemblea sulla base di un’autonoma valutazione (Cass. civ, VI, n. 22285/2016).

Il rimborso delle spese sostenute per la gestione di parti comuni

In base alla legge (art. 1134 c.c.), tutte le volte in cui un condomino anticipa delle spese per le parti comuni dell’edificio senza autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea non ha diritto al rimborso salvo che si tratti di una spesa urgente (art 1110 c.c.).

In tema di intervento manutentivo sulla terrazza a livello è stato affermato il principio secondo cui grava sul condomino, che abbia agito in giudizio nei confronti degli altri condomini per il rimborso pro quota delle spese sostenute per la gestione di parti comuni, l’onere di dimostrare l’urgenza della spesa stessa. Tale principio può trovare applicazione anche nel caso in cui l’intervento urgente abbia riguardato un terrazzo di proprietà esclusiva del condomino (Cass. civ., II, 28 febbraio 2018, n. 4684).

Usucapione di parti comuni condominiali

Cass. Civ. sentenza del 06.10.2016, n. 20039

“Il condomino può usucapire la quota degli altri senza che sia necessaria una vera e propria interversione del possesso; a tal fine, però, non è sufficiente che gli altri condomini si siano astenuti dall’uso del bene comune, bensì occorre allegare e dimostrare di aver goduto del bene stesso attraverso un proprio possesso esclusivo in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare un’inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus, senza opposizione, per il tempo utile a usucapire. Il condomino che deduce di aver usucapito la cosa comune, pertanto, deve provare di averla sottratta all’uso comune per il periodo utile all’usucapione, e cioè deve dimostrare una condotta diretta a rivelare in modo inequivoco che si è verificato un mutamento di fatto nel titolo del possesso, costituito da atti unicamente rivolti contro i compossessori, e tale da rendere riconoscibile a costoro l’intenzione di non possedere più come semplice compossessore, non bastando al riguardo la prova del mero non uso da parte degli altri condomini, stante l’imprescrittibilità del diritto in comproprietà”.

Le barriere architettoniche

La L. n. 13/1989 costituisce espressione di un principio di solidarietà sociale e persegue finalità di carattere pubblicistico volte a favorire, nell’interesse generale, l’accessibilità agli edifici (Cass. civ., n. 7938/2017) sicché l’installazione di un ascensore su area comune, allo scopo di eliminare delle barriere architettoniche, rientra fra le opere di cui alla L. n. 118 del 1971, art. 27, comma 1, ed al D.P.R. n. 384 del 1978, art. 1, comma 1.

L'installazione dell'ascensore

L’ascensore installato in seguito alla costruzione del condominio, per iniziativa di parte dei condomini, non rientra nella proprietà comune di tutti i condomini ma appartiene in proprietà a quelli di loro che l’abbiano impiantato a loro spese, dando luogo a una particolare comunione parziale dei proprietari dell’ascensore (Cassazione civile, sez. II, 04.09.2017, n. 20713).

Il lastrico solare

Tra i beni comuni di cui all’art 1117 c.c. è ricompreso il lastrico solare avente funzione di copertura e protezione dello stabile condominiale.

Tuttavia, essendo che la natura condominiale dei beni di cui all’art 1117 c.c. è derogabile, il lastrico solare ben può essere attribuito in proprietà esclusiva al singolo condomino se ciò risulti dal titolo.

Nel caso in cui il lastrico solare sia di proprietà esclusiva trova applicazione l’art. 1126 c.c. che impone l’obbligo di contribuzione a carico di tutti i condomini in misura differente. Nello specifico, le spese sono poste per un terzo a carico dei condomini che hanno l’uso esclusivo e per i restanti due terzi a carico di tutti i condomini.

Diritto di sopraelevazione

L’art. 1127 c.c. attribuisce al titolare del diritto di proprietà sull’ultimo piano il diritto di costruire in sopraelevazione sempre che ciò non sia escluso dal titolo o non pregiudichi le condizioni statiche dell’intero edificio.

L’esercizio di tale diritto può essere, tuttavia, impedito da un’opposizione degli altri condomini qualora ricorrano le condizioni di cui all’art. 1127 co. 2 c.c.

Danni da infiltrazione provenienti da lastrico solare

Qualora l’uso del lastrico solare (o della terrazza a livello) non sia comune a tutti i condomini, risponde, dei danni causati da infiltrazioni nell’appartamento sottostante, il proprietario (o l’esclusivo utilizzatore) in quanto custode e, come tale, responsabile ex art. 2051 c.c.

Tuttavia, in ipotesi di violazione dell’art. 1130 c.c. o 1135 c.c., rispettivamente per omessa attivazione da parte dell’amministratore delle misure utili alla conservazione dei beni comuni, oppure per mancata adozione da parte dell’assemblea delle decisioni in materia di manutenzione straordinaria, sarà, inoltre, configurabile la responsabilità concorrente del condominio, ex art 2043 c.c., considerato che il lastrico ha pur sempre funzione di copertura per l’edificio condominiale (Cass. civ., Sez. Un., 10 maggio 2016 n. 9449).

Spese condominiali

Il diritto di proprietà sulle parti comuni comporta l’obbligo, per ciascun condomino, di contribuire alle spese per la conservazione ed il godimento dei beni condominiale secondo quanto stabilito dall’art. 1123 c.c.

Sul punto, la Cassazione ha stabilito che gli elementi esterni del condominio, quali i rivestimenti della parte frontale e di quella inferiore, e quelli decorativi di fioriere, balconi e parapetti, svolgendo una funzione di tipo estetico rispetto all’intero edificio, del quale accrescono il pregio architettonico, costituiscono, come tali, parti comuni ai sensi dell’articolo 1117 n. 3 del Cc, con la conseguenza che la spesa per la relativa riparazione ricade su tutti i condomini, in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno (Cass. civ., II, 2 marzo 2018, n. 5014, Cass. civ., II, 29 ottobre 2018, n. 27413).

Ripartizione delle spese condominiali

Per quanto riguarda la ripartizione delle spese condominiali l’art. 1123 c.c. stabilisce che esse debbano imputarsi in proporzione al valore delle proprietà solitarie, a meno che si tratti di beni destinati ad un uso differenziato da parte dei condomini (es. le scale), di talché la ripartizione va fatta in base all’uso che ciascuno può farne.

Il valore delle proprietà individuali è espresso in tabelle millesimali che vengono formate e approvate dall’assemblea condominiale sulla base dei criteri stabiliti dalla legge.

Modifica delle tebelle millesimali

Il nuovo testo dell’art. 69 disp. att. c.c. prescrive l’unanimità dei consensi in assemblea per la modifica delle tabelle, salvo che ricorra una delle due situazioni indicate dalla norma, in cui le attenuate esigenze di tutela degli altri condomini consentono l’approvazione della rettifica da parte della diversa maggioranza di cui all’art. 1136 co. 2 c.c.

Successione nelle spese condominiali

L’acquirente dell’immobile diventa condomino dal momento della stipula del contratto di compravendita e, da allora, l’amministratore può esigere la corresponsione degli oneri condominiali.

Tuttavia, il venditore resta obbligato al pagamento delle spese condominiali sorte nel periodo in cui era proprietario dell’immobile, di talché l’avente causa, che abbia eventualmente provveduto ad adempiere in sua vece, avrà diritto a rivalersi.

L'organizzazione del condominio

Il condominio è disciplinato, oltre che dalla legge, dall’atto costitutivo e dai regolamenti approvati

dall’assemblea.

In tema di regolamenti condominiali se ne distinguono due tipologie.

Da un lato, vi sono i regolamenti cd. assembleari (o interni) il cui contenuto minimo è previsto dall’art. 1138 co. 1 c.c. e sono resi obbligatori dalla legge nel caso in cui i condomini siano in numero superiore a dieci. Sono approvati dall’assemblea con la maggioranza di cui all’art. 1136 c.c. e sono allegati al registro di cui all’art. 71 disp. att. c.c. Inoltre, avendo quale unico scopo quello di disciplinare l’uso dei beni condominiali, possono essere modificati anche a maggioranza dei partecipanti al condominio (Cass. Civ., sez. II, 2015, n. 12582).

Dall’altro, vi sono i regolamenti contrattuali (o esterni) il cui contenuto consiste nella previsione di oneri reali o servitù prediali che incidono sul diritto di proprietà dei singoli condomini sia con riferimento ai beni comuni che riguardo alle unità immobiliari. Per la loro modificazione è richiesto il consenso di tutti i condomini (unanimità).

L'amministratore di condominio

L’amministratore rappresenta l’organo esecutivo del condominio e la sua nomina è resa obbligatoria nel caso in cui vi siano più di otto condomini, ai sensi dell’art. 1129 c.c.

L’art. 1129 c.c. prescrive la durata annuale dell’incarico, salvo il rinnovo. La nomina può essere revocata in qualsiasi momento dall’assemblea o anche dall’autorità giudiziaria qualora sia stata commessa una delle gravi irregolarità indicate in via esemplificativa dalla norma.

L'assemblea condominiale

L’assemblea è il vero e proprio organo deliberativo del condominio. Il rispetto delle norme in tema di assemblea costituisce il presupposto per la validità delle delibere assembleari, nonché per la loro opponibilità ai condomini dissenzienti.

La validità delle decisioni presuppone una previa convocazione dell’assemblea stessa da parte dell’amministratore; quest’ultimo, in particolare, deve provvedere ad indicare puntualmente l’ordine del giorno, al fine di consentire ai condomini una partecipazione consapevole all’assemblea. Una convocazione inesistente o invalida, costituendo un vizio di legge, è motivo di annullabilità della deliberazione assunta (Cass. Civ., sez. un., 2005, n. 4806).

Le maggioranza condominiali

La legge prescrive due ordini di quorum, costitutivo e deliberativo, che variano a seconda che si tratti di prima o seconda convocazione (art. 1136 c.c.).

Nel primo caso, l’assemblea è regolarmente costituita se partecipano tanti condomini da rappresentare i due terzi del valore dell’edificio e la maggioranza dei partecipanti al condominio, mentre le decisioni sono validamente assunte se votate

favorevolmente dalla maggioranza dei presenti che rappresentino anche la metà del valore dell’edificio.

Nel secondo caso, è sufficiente un quorum costitutivo di un terzo dei partecipanti (che rappresentino anche un terzo del valore dell’edificio), mentre il quorum deliberativo è dato dalla maggioranza degli intervenuti che rappresentino un terzo del valore dell’edificio.

Invalidità delle deliberazioni assembleari condominiali

In tema di invalidità delle delibere, la legge contempla la sola ipotesi dell’annullabilità per violazione di legge o di regolamento di condominio, fissando in trenta giorni il termine di decadenza entro cui far valere la suddetta invalidità.

La legittimazione ad agire è attribuita non solo ai condomini assenti o dissenzienti, ma anche (novità della riforma del 2012) ai condomini astenuti.

La decorrenza del termine varia a seconda del soggetto che propone l’impugnazione, dal momento che, per gli assenti, i trenta giorni vanno calcolati dalla data in cui è stata loro comunicata la deliberazione.

Nullità delle deliberazioni assembleari condominiali

Devono ritenersi nulle le delibere dell’assemblea condominiale prive degli elementi essenziali, con oggetto impossibile o illecito, con oggetto non ricompreso nelle competenze dell’assemblea, incidenti su diritti individuali o sulla proprietà esclusiva di un condomino. Mentre sono annullabili quelle affette da vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, adottate con maggioranze inferiori a quelle prescritte, affette da vizi formali in ordine al procedimento di convocazione e/o informazione dell’assemblea, affette genericamente da irregolarità nel procedimento di convocazione.

A titolo esemplificativo, la Corte di Cassazione, con sentenza del 30 agosto 2019 n. 21909, ha dichiarato nulla la delibera che sancisce la realizzazione di un ascensore che si arresta al penultimo piano, in quanto incidente sul diritto del singolo – proprietario dell’ultimo piano – rispetto all’utilizzo di un bene comune – ascensore – perché gli impediscono un uso pieno e incidono anche sul valore della proprietà esclusiva.

Come impugnare una delibera assembleare condominiale

Sotto il profilo strettamente processuale, prima della riforma del 2012, l’impugnazione andava proposta esclusivamente con ricorso (la proposizione a mezzo di atto di citazione si riteneva valida, in ossequio al principio di conservazione degli atti giuridici, a condizione che entro trenta giorni l’atto fosse depositato in cancelleria così Cass. civ., Sez. Un., n. 8491/2011).

La riforma ha, tuttavia, eliminato ogni riferimento al ricorso, consentendo che l’impugnazione venga proposta con atto di citazione, notificato entro trenta giorni dalla delibera, se l’attore era presente, o dalla comunicazione formale, se assente. È prevista, in ogni caso, la mediazione obbligatoria.